X SECOLO
Le origini della mozzarella sono direttamente legate all’introduzione dei bufali in Italia. Una delle ipotesi più accreditate sostiene che la diffusione in Italia meridionale sia avvenuta in epoca Normanna, partendo dalla Sicilia dove i bufali erano stati portati verso la fine del X secolo, a seguito delle invasioni dei Saraceni e dei Mori.


Per il trasporto di macchine da guerra a Castellabate e di materiale per rinforzare le difese di Salerno furono impiegati i bufali. La loro particolare utilità era talmente riconosciuta che, nel XV secolo, i feudatari del regno Pontificio dovevano per legge destinare una parte dei possedimenti al pascolo di questi animali.
XI SECOLO
Intorno all’XI secolo si completa l’impaludamento delle pianure costiere del basso versante tirrenico – Piana del Volturno e del Sele – assumendo così quelle caratteristiche ambientali più adatte all’allevamento del bufalo.
1189-1266
In epoca Sveva i bufali raggiungono le attuali aree di allevamento.
XII – XIII SECOLO
Già nel XII secolo compaiono i primi documenti storici che testimoniano come i Monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un formaggio denominato mozza o provatura (quando affumicato), accompagnato da un pezzo di pane, ai pellegrini componenti del Capitolo Metropolitano, che si recavano ogni anno in processione fino alla chiesa del Convento.

XIV SECOLO
Esistono diverse testimonianze che provano la commercializzazione di derivati del latte di bufala destinati solitamente al ricco mercato napoletano e salernitano. Per ovvi motivi di viabilità gli unici a giungere erano “mozze” e soprattutto “provature” in cui grazie all’affumicatura si allungava la vita commerciale del prodotto.
XV SECOLO
A partire dal XV secolo risalgono le prime “bufalare”, caratteristiche costruzioni in muratura, dalla forma circolare con un camino centrale, dove si lavorava il latte di bufala per ricavarne provole, caciocavalli, burro, ricotta e naturalmente mozzarelle di bufala.

1570
Per la prima volta appare il termine “mozzarella” in un testo famoso di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale.


XVIII SECOLO
Le mozzarelle diventano un prodotto di largo consumo, anche grazie alla realizzazione nella provincia di Caserta, da parte dei Borboni, di un grosso allevamento di bufale con annesso un caseificio sperimentale per la trasformazione dello stesso latte. In un registro di stalla venivano annotati gli eventi più importanti delle bufale alle quali veniva attribuito un nome che di solito ricordava i personaggi di corte.
Durante la dominazione spagnola la bufala fu utilizzata anche come animale da cacciare. Venivano infatti organizzate delle battute di “caccia alla bufala” in occasione delle quali la corte si recava nelle zone di allevamento della piana del Volturno ed in quella del Sele.
XIX SECOLO
Con l’unificazione d’Italia vide la luce ad Aversa, la “Taverna“: un vero e proprio mercato all’ingrosso delle mozzarelle e dei derivati caseari prodotti dallo stesso latte tra cui è bene citare la ricotta, che, quotidianamente, stabiliva le quotazioni in relazione alla produzione e alla richiesta. Il commercio era regolato sulla base di veri e propri contratti che entravano in vigore dal primo settembre al 31 agosto dell’anno successivo, stipulati tra il proprietario delle bufale che trasformava anche il latte ed il “distributore“ dei prodotti.
1940
“…ogni bufala ha un nome che è un versetto e i nomi di una mandria di bufale sono un poema”.
Rocco Scotellaro
XX SECOLO
Il poeta e scrittore lucano Rocco Scotellaro, nella sua inchiesta sulla cultura dei contadini del Mezzogiorno – Contadini del Sud, racconta che il bufalaro (la persona dedita all’allevamento del bufalo) conosceva le sue bufale singolarmente, come se fossero “cristiani”. Tanto è vero che ad ognuna di esse dava un nome. “Contessa”, “Amorosa”, “Cambiale”, “Monacella”, “‘A malatia”, “‘Ncoppe a paglia”. A volte poi i nomi si trasformavano in vere e proprie massime che nascevano dai comportamenti degli animali e dal rapporto stretto che avevano con il bufalaro.


X SECOLO
Le origini della mozzarella sono direttamente legate all’introduzione dei bufali in Italia. Una delle ipotesi più accreditate sostiene che la diffusione in Italia meridionale sia avvenuta in epoca Normanna, partendo dalla Sicilia dove i bufali erano stati portati verso la fine del X secolo, a seguito delle invasioni dei Saraceni e dei Mori.
1189-1266
In epoca Sveva i bufali raggiungono le attuali aree di allevamento.

XI SECOLO
Intorno all’XI secolo si completa l’impaludamento delle pianure costiere del basso versante tirrenico – Piana del Volturno e del Sele – assumendo così quelle caratteristiche ambientali più adatte all’allevamento del bufalo.

Per il trasporto di macchine da guerra a Castellabate e di materiale per rinforzare le difese di Salerno furono impiegati i bufali. La loro particolare utilità era talmente riconosciuta che, nel XV secolo, i feudatari del regno Pontificio dovevano per legge destinare una parte dei possedimenti al pascolo di questi animali.
XII – XIII SECOLO
Già nel XII secolo compaiono i primi documenti storici che testimoniano come i Monaci del monastero di San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un formaggio denominato mozza o provatura (quando affumicato), accompagnato da un pezzo di pane, ai pellegrini componenti del Capitolo Metropolitano, che si recavano ogni anno in processione fino alla chiesa del Convento.
XIV SECOLO
Esistono diverse testimonianze che provano la commercializzazione di derivati del latte di bufala destinati solitamente al ricco mercato napoletano e salernitano. Per ovvi motivi di viabilità gli unici a giungere erano “mozze” e soprattutto “provature” in cui grazie all’affumicatura si allungava la vita commerciale del prodotto.
XV SECOLO
A partire dal XV secolo risalgono le prime “bufalare”, caratteristiche costruzioni in muratura, dalla forma circolare con un camino centrale, dove si lavorava il latte di bufala per ricavarne provole, caciocavalli, burro, ricotta e naturalmente mozzarelle di bufala.

1570
Per la prima volta appare il termine “mozzarella” in un testo famoso di Bartolomeo Scappi, cuoco della corte papale.


L’espressione “adirarsi come una bufala” è semplicemente falsa in natura per questo animale che è calmissimo e “paziente”.
XVIII SECOLO
Le mozzarelle diventano un prodotto di largo consumo, anche grazie alla realizzazione nella provincia di Caserta, da parte dei Borboni, di un grosso allevamento di bufale con annesso un caseificio sperimentale per la trasformazione dello stesso latte. In un registro di stalla venivano annotati gli eventi più importanti delle bufale alle quali veniva attribuito un nome che di solito ricordava i personaggi di corte.
Durante la dominazione spagnola la bufala fu utilizzata anche come animale da cacciare. Venivano infatti organizzate delle battute di “caccia alla bufala” in occasione delle quali la corte si recava nelle zone di allevamento della piana del Volturno ed in quella del Sele.
XIX SECOLO
Con l’unificazione d’Italia vide la luce ad Aversa, la “Taverna“: un vero e proprio mercato all’ingrosso delle mozzarelle e dei derivati caseari prodotti dallo stesso latte tra cui è bene citare la ricotta, che, quotidianamente, stabiliva le quotazioni in relazione alla produzione e alla richiesta. Il commercio era regolato sulla base di veri e propri contratti che entravano in vigore dal primo settembre al 31 agosto dell’anno successivo, stipulati tra il proprietario delle bufale che trasformava anche il latte ed il “distributore“ dei prodotti.
1940
“…ogni bufala ha un nome che è un versetto e i nomi di una mandria di bufale sono un poema”.
Rocco Scotellaro

XX SECOLO
Il poeta e scrittore lucano Rocco Scotellaro, nella sua inchiesta sulla cultura dei contadini del Mezzogiorno – Contadini del Sud, racconta che il bufalaro (la persona dedita all’allevamento del bufalo) conosceva le sue bufale singolarmente, come se fossero “cristiani”. Tanto è vero che ad ognuna di esse dava un nome. “Contessa”, “Amorosa”, “Cambiale”, “Monacella”, “‘A malatia”, “‘Ncoppe a paglia”. A volte poi i nomi si trasformavano in vere e proprie massime che nascevano dai comportamenti degli animali e dal rapporto stretto che avevano con il bufalaro.

La mozzarella veniva ritirata nei luoghi di produzione “pagliare” o “difesa”, già pesata e avvolta in foglie di giunco o di mortella, ordinatamente disposte in cassette di vimini o castagno e trasportata fino all’ubicazione del negoziante.
“Quanne è auste facime li cunti”
(quando arriverà agosto faremo i conti)
“Chi campa vere sta massaria”
(solo chi vivrà vedrà questa masseria)